Indagine sul ventennio by Enrico Deaglio

Indagine sul ventennio by Enrico Deaglio

autore:Enrico Deaglio [Deaglio, Enrico]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 0
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2014-03-26T04:00:00+00:00


La Lega finì nell’aprile del 2012, quando venne fuori la storia dei soldi e della laurea comprata di Renzo Bossi, detto “il Trota”.

Finì di schianto, ma anche con farsa e languore, un movimento politico che era durato vent’anni, che non aveva avuto precedenti nella storia d’Italia. Lasciava, naturalmente, macerie. Una Götterdämmerung padana, la caduta degli dèi tra Varese e Curno.

La fine del Trota, e con lui di suo padre, della Padania e della Lega fu causata dal “tradimento” del suo autista e bodyguard personale, tale Alessandro Marmello. Questi rivelò al settimanale “Oggi” che lui stesso lo accompagnava nella sede della Lega, in via Bellerio a Milano, a prelevare, quasi quotidianamente, soldi del partito per le sue spese private. Si trattava, volta per volta, di 100, 150, 200 euro che il Marmello gli consegnava personalmente e che il ragazzo si metteva in tasca. Ora il Marmello – un padano quasi manzoniano, timorato di Dio e della legge –, temendo di potere lui stesso essere accusato di qualche forma di appropriazione indebita, aveva filmato le consegne di denaro con il proprio iPhone sistemato sul cruscotto della macchina. I filmati di Marmello finirono in televisione e su Internet. Lui stesso venne intervistato in un popolarissimo programma televisivo, L’Arena, condotto dal giornalista Massimo Giletti e lì, di fronte a domande che generarono veri e propri esami di coscienza, rivelò quanto gli era costata quella denuncia, le minacce e gli insulti ricevuti, le notti insonni passate piangendo. E ne aveva ben donde: Marmello, infatti, era stato prontamente licenziato dalla Lega, essendo venuto a mancare il rapporto di fiducia.

Renzo Bossi era il figlio del Capo; come tale era il figlio prediletto della Padania. Il Capo era “l’Umberto”, detto il Senatùr, il titano la cui tempra aveva resistito a un ictus che avrebbe mandato chiunque al Creatore. E “Trota” era il nome che lui stesso, il burbero Capo, aveva affibbiato a quel ragazzino che lo seguiva nei comizi, che raccoglieva le firme nei gazebo, che si vestiva di verde. Gli avevano chiesto, come si chiede al profeta: “Dimmi, Senatùr. Tuo figlio Renzo è forse il tuo delfino?”. E lui: “Macché delfino, casomai è una trota”.

Il Trota aveva allora ventitré anni, una faccia trasognata e spenta, incorniciata da riccioli neri, che qualcuno aveva definito pasoliniani. Era stato bocciato per tre volte di seguito all’esame di maturità scientifica, l’ultima volta da privatista in un istituto religioso di Tradate, con un ispettore del ministero venuto apposta da Roma per assicurarsi che non ci fosse un pregiudizio contro di lui. Non c’era.

Renzo Bossi, che comparve parecchie volte in televisione, aveva evidenti difficoltà a costruire una frase secondo le regole della sintassi, di molte parole che pronunciava non conosceva il significato, ma le ripeteva come delle sequenze, avendole sentite molte volte. Ma tutte queste evidenti deficienze non gli avevano impedito di diventare consigliere regionale della Lombardia, imposto da suo padre come candidato nella Val Camonica, nel collegio provinciale di Brescia, alle elezioni del 2010. In quell’occasione lo votarono 12.893 cittadini lombardi. Era



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